Aneddoti di un modder: quell’agosto passato tra recovery modificate e Custom ROM

Andrea Zanettin
9 min readFeb 1, 2020

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Originariamente scritto nel 2017 (forse anche prima), aggiornato e pubblicato su Medium il 1 febbraio 2020.

Oggi vi raccontererò una storia riguardante un rovente agosto del 2013 passato tra forum spagnoli, recovery modificate e Custom ROM.

Tra i tanti mondi nascosti nei meandri del Web, ne esiste uno che mi ha portato in un rovente agosto a costruire e consolidare la mia passione legata agli smartphone Android. Correva l’anno 2013 e, probabilmente, senza quell’esperienza non sarei mai diventato un Web Writer. Infatti, a mio modo di vedere, quello che conta di più per svolgere questo lavoro non è tanto un ottimo curriculum, ovviamente molto importante ai fini di una prima presentazione, bensì la passione, e senza quel mese passato tra forum spagnoli, recovery modificate e Custom ROM non avrei mai trovato l’ispirazione che mi porta a scrivere ogni giorno.

Fatta questa dovuta premessa, potete ben capire come il mondo che mi appresto a descrivervi sia qualcosa che mi porto nel cuore e perdonatemi, dunque, se sto scrivendo un pezzo atipico, molto distante da quelli a cui metto la firma solitamente.

Il modding

Come molti di voi avranno già intuito, quell’incantevole reame che vi ho descritto poco fa corrisponde al modding. Per chi non sapesse di cosa sto parlando, si tratta, in parole povere, della pratica di modificare qualcosa presente in un ecosistema ben definito. Parlando di Android, l’unico sistema operativo mobile a fornire un grado di personalizzazione tale da poter parlare di modding, si tratta principalmente di installare delle Custom ROM, che potremmo definire come delle versioni alternative del sistema operativo. Esse fuoriescono dalla “normale” esperienza pensata da Google (quest’ultima viene identificata come “stock”) e le principali differenze con quanto offerto dalla società californiana sono legate a nuove funzionalità o alle più disparate tipologie di personalizzazioni.

Si va delle semplici modifiche estetiche fino ad arrivare a dei veri e propri aggiornamenti non ufficiali, che riescono a riportare in vita determinati dispositivi. Ma chi si mette al lavoro per sviluppare questo software modificato? La community di appassionati.

Le Custom ROM sono l’equivalente di quelle che chiamiamo semplicemente “mod” nel mondo dei videogiochi. Credo che nessun altro paragone sia più calzante di questo. Infatti, ci sono gruppi di persone che si riuniscono per sviluppare, la maggior parte delle volte senza alcuna retribuzione, degli update non ufficiali che verranno poi utilizzati dalla community stessa.

Non è un mistero che Google abbia da sempre gradito la pratica, visto che questa ha aiutato molto la diffusione del suo sistema operativo mobile. Ma le case produttrici di smartphone come la pensano? Si sono semplicemente adattate: Android è praticamente l’unica possibilità di scelta per una società che vuole piazzare il suo prodotto sul mercato e quindi le politiche di Google devono essere per forza di cosa essere accettate.

In ogni caso, il mondo del modding è sempre stato riservato a pochi smanettoni come me, che hanno imparato solamente con gli anni a padroneggiarlo a dovere. Infatti, essere un modder non è facile: se possiedi solamente uno smartphone e installi una Custom ROM, rischi quantomeno di invalidare la garanzia, nonché di mandarlo nel temutissimo stato di brick, rendendolo un fermacarte. Per intenderci, il brick è lo stato in cui versa un dispositivo completamente inutilizzabile, che a volte non riesce nemmeno a caricare il sistema operativo. Insomma, il modding non è un mondo per tutti.

Agosto 2013 — Huawei Ascend Y100 U8185 passa da Android 2.3.6 a Android 4.2.2

Fatta questa doverosa promessa, torniamo a noi, a quell’agosto del 2013. Sono passati ormai sette anni e l’evoluzione tecnologica ha fatto passi da gigante. Da quell’unico smartphone low cost, Huawei Ascend Y100, sono passato ad avere miriadi di dispositivi di fascia medio/alta qui sulla mia scrivania. Eppure, nessuno di questi è mai riuscito a farmi provare la stessa sensazione di “rompere le regole”. Ma andiamo con ordine.

Nel 2013, ero tutto quello che un modder non deve essere: zero conoscenze in ambito di Custom ROM e un solo telefono principale che non doveva in alcun modo finire nello stato di brick (altrimenti le punizioni non tardavano ad arrivare da parte dei genitori). Inoltre, l’Ascend Y100 non era praticamente mai stato considerato dai modder fino ad allora, visto che si trattava di un dispositivo low cost di una marca cinese come Huawei, che all’epoca non aveva assolutamente il riscontro mediatico che vanta al giorno d’oggi. Nonostante questo, avevo appena scoperto il forum di XDA, ovvero il Wikipedia per gli amanti del modding, e quel mondo mi affascinava troppo per non “rischiare”.

Passai ore e ore nei meandri di quel sito per cercare di capire se qualche pazzo avesse realmente provato a “cucinare” una ROM per il mio amato smartphone (sì, i modder si esprimono in modo strano). Neanche a dirlo, non trovai nulla.

Tuttavia, non mi persi d’animo e, conscio della vastità della community di modder, continuai a cercare. Finii in una delle pagine più remote di Google (che in realtà era la terza o quarta pagina dei risultati, ma è comunque un posto in cui nessuno osa spingersi) e trovai un molto poco allettante articolo scritto in spagnolo, che però aveva un titolo in inglese: “ICS Mod Rom Huawei U8185 by (Oscar2013)”. Munito di Google Traduttore, provai a capire che diavolo aveva combinato quel modder.

Alla fine, arrivai alla conclusione che la Custom ROM esisteva veramente (cosa per nulla scontata, visto che all’epoca giravano molti fake) e che Oscar2013 era il suo creatore. Inoltre, l’aggiornamento non ufficiale avrebbe portato il mio Huawei Ascend Y100 dall’oramai obsoleto Android GingerBread 2.3.6 alla versione Ice Cream Sandwich 4.2.2. Si trattava di un bel salto di qualità, che mi spinse immediatamente a entrare nel mondo del modding, di cui in precedenza avevo solamente sentito leggende metropolitane.

Alt! Ti servono un bootloader sbloccato, una recovery modificata e il root

Tutto bello, ma c’erano ancora degli ostacoli prima di poter procedere all’installazione vera e propria della Custom ROM. Infatti, il mio smartphone era rimasto “stock” fino ad allora e questi tizi del forum spagnolo, collegato al sito in cui avevo trovato l’articolo, mi venivano a dire, rigorosamente nella loro lingua (grazie ancora, Google Traduttore), che non potevo usufruirne senza prima sbloccare il bootloader, installare una recovery modificata e “rootare” il mio dispositivo. Il problema? Non sapevo né cosa fosse il bootloader né cosa fosse una recovery modificata né cosa fosse il root.

La prima cosa da fare, dunque, era sbloccare questo fantomatico bootloader, che non è altro che quel programma che all’avvio dello smartphone sceglie il giusto sistema operativo. Risulta quindi ovvio che esso debba essere sbloccato, in modo da scegliere la Custom ROM installata. Per fare questo, il modo più sicuro era quello di contattare direttamente via e-mail Huawei, facendo sapere alla società cinese la volontà di sbloccare il bootloader a proprio rischio e pericolo. In particolare, nel messaggio di posta elettronica andavano indicati, oltre al modello del dispositivo, il Serial Number, il codice IMEI e il Product ID.

I primi due si trovavano sulla batteria, mentre per ottenere il terzo bisognava chiamare l’improbabile numero * # * # 1357946 # * # *. Successivamente, una volta convalidati tutti i dati, Huawei mi spedì il tanto bramato codice di sblocco del bootloader (nota dal futuro: l’azienda cinese ha chiuso quel servizio e in molti lo rimpiangono). Riavviai quindi il mio smartphone in modalità fastboot (volume giù + tasto accensione all’avvio) e lo collegai al PC. A quel punto, si installarono da soli i driver del dispositivo, ma dovetti comunque scaricare il toolkit ADB di Google per interfacciarmi al meglio con lo smartphone. Ecco, allora, che si avviò il Prompt dei Comandi di Windows con permessi di amministratore. Digitai il fatidico comando “fastboot oem unlock”, seguito dal codice che mi aveva inviato Huawei, attesi qualche secondo e il gioco era fatto: il bootloader era sbloccato.

Ora potevo finalmente passare al secondo punto: installare una recovery modificata. In parole povere, la recovery è una modalità di avvio dello smartphone che consente di eseguire svariate operazioni, dal ripristino del sistema alla formattazione di alcune parti di esso, passando per il wipe dei dati. Dovete sapere, però, che la maggior parte dei dispositivi in commercio dispone di una recovery “stock”, che, a differenza di una modificata, non ha la possibilità di installare software esterno.

Quella volta mi consigliarono la ClockWorkMod 6.0.1.2, che all’epoca aveva tutto quello che si poteva chiedere a una recovery modificata. Senza scendere troppo nei dettagli, l’opzione che mi interessava era quella “install zip from sdcard”, che si vedeva in tutte le foto condivise dai vari modder. Per installarla, scaricai il file .zip che gli utenti del forum mi avevano gentilmente passato, collegai l’Huawei Ascend Y100 al mio PC. sempre in modalità fastboot. e avviai il file “install-windows.bat”. Quest’ultimo riavviò il mio dispositivo e installò la recovery modificata. Anche questo passo era compiuto. Ora dovevo solamente “rootare” il mio dispositivo e installare la Custom ROM.

Il root non è altro che il processo per ottenere i diritti di superuser e avere così la possibilità di modificare senza limiti il sistema. Per ottenere i permessi di root, utilizzai la classica app SuperSU, mentre per verificare che tutto fosse stato eseguito correttamente mi servii di una delle prime versioni di Root Checker. Per installare la prima, dovetti scaricare lo zip gentilmente offertomi dai soliti utenti del forum e installarlo tramite la nuova opzione presente nella recovery modificata. Una volta finita l’installazione, mi ritrovai finalmente i permessi di root. Root Checker mi confermò che avevo eseguito la procedura correttamente. Ora non rimaneva che installare la Custom ROM.

Mi ritrovai come un videogiocatore davanti al boss finale di Dark Souls, spaesato e confuso, ma con alle spalle una miriade di battaglie vinte, che non possono far altro che dirti: “vai e termina quel che hai iniziato!”. E così fu. Scaricai anche il file .zip della Custom ROM e, senza alcun backup di sorta (volevo proprio “rischiare”, insomma), andai a scegliere per la seconda volta quella scritta “install zip from sdcard”. Attesi qualche minuto e, magia delle magie, lo smartphone si riavviò con Android 4.2.2 Ice Cream Sandwich (farlocco, ma questa è un’altra storia), grazie alla CyanogenMod 9. Non ci credevo, ce l’avevo fatta e ora potevo godermi tutte le nuove funzionalità (come la rinnovata app Fotocamera e quella Galleria). Incredibile!

Era la mia prima Custom ROM e da lì sarebbero iniziate altre mirabolanti avventure. Ripensando al fatto che tutto questo è accaduto “solamente” sette anni fa con uno smartphone montante Android 2.3.6 GingerBread e un processore da 800 MHz, mi sembra quasi impossibile che il progresso tecnologico abbia raggiunto i livelli a cui siamo abituati oggi. Il mondo del modding, purtroppo, è essenzialmente morto (RIP al team di CyanogenMod, “smantellato” nel dicembre del 2016), ma ricordo ancora il suo fascino e ho quindi voluto farlo vivere per sempre con questo articolo.

P.s: Ho scritto questo pezzo nelle prime fasi della mia carriera da Web Writer. Per un motivo o per l’altro, non era mai stato pubblicato. L’ho voluto lasciare essenzialmente intatto, senza nemmeno andare a renderlo più “leggero”. Rimane un ricordo importante, che volevo semplicemente “salvare” da qualche parte.

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Scrivo principalmente per Everyeye Tech e Aranzulla.it. Seguo da sempre con passione tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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