YouTube, tra infotainment e informazione

Andrea Zanettin
7 min readFeb 1, 2020

Originariamente scritto il 10 agosto 2018, aggiornato e pubblicato su Medium il 1 febbraio 2020.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul funzionamento del complesso mondo dell’informazione su una piattaforma come YouTube.

È possibile fare informazione su YouTube? La piattaforma di Google ha tutto per poter essere un elemento centrale nella diffusione di notizie, dalla tecnologia di streaming ai grandi numeri, vista la presenza giornaliera massiccia di utenti. Perchè allora realtà del calibro di Repubblica, che dominano le classifiche di visite mensili online, non hanno successo?
YouTube ha per certi versi cambiato il modo in cui le persone si informano, coniugando il tutto con l’intrattenimento. È una buona cosa? Non del tutto, alcuni aspetti negativi ci sono sicuramente. Iniziamo quindi il nostro viaggio nei meandri del mondo dell’informazione su YouTube, cercando di capire cosa sta accadendo sulla popolare piattaforma della società californiana.

Si può veramente fare informazione su YouTube?

Quella che potete leggere qui sopra è una delle domande più quotate tra chi bazzica ogni giorno nel mondo dell’informazione. I risultati ottenuti dai media tradizionali su YouTube, infatti, fanno apparentemente gridare un unisono “NO!”. Basti pensare a realtà del calibro de La Repubblica, Corriere della Sera e La Stampa, che sulla piattaforma di Google contano relativamente poche migliaia di iscritti al proprio canale.

L’esempio più emblematico è forse quello del Corriere, che dopo circa 13 anni di attività conta all’incirca 8000 seguaci. Stesso discorso per La Stampa, anch’essa con un account aperto nel 2007 che conta circa 12.000 iscritti. Per non parlare delle visualizzazioni: molti video spesso faticano a raggiungere le fatidiche 300 visualizzazioni. Persino La Repubblica, che con il suo canale è riuscita a ottenere circa 280.000 iscritti, soffre della problematica appena descritta (alcuni video non raggiungono le 500 visualizzazioni).

Un fenomeno solamente italiano? Assolutamente no: i dati delle realtà estere sono molto simili, ovviamente con le giuste proporzioni, visto che la lingua inglese è molto più utilizzata del nostro idioma. Prendiamo in esempio la BBC, la CNN e FOX News. La prima raccoglie ben 6,14 milioni di iscritti, ma ci sono molti video che non raggiungono le 50.000 visualizzazioni, numeri non esattamente dei migliori per un canale del genere. La CNN sembra invece avere una media un po’ più stabile, ma anche qui diversi video, come quello sui diritti dei bambini siriani, raggiungono a malapena le 20.000 visualizzazioni, nonostante i circa 8,46 milioni di seguaci. Fox News, con un canale da circa 4,24 milioni di iscritti, quando non c’è la campagna elettorale fatica a superare le 50.000 visualizzazioni.

Un ulteriore e importante “specchio” di questa sconfortante realtà è la sezione News delle Tendenze di YouTube, facilmente accessibile dall’applicazione mobile della piattaforma di Google. Qui il fattore visualizzazioni emerge in tutta la sua prepotenza, mostrando come video con meno di 1000 visualizzazioni vengano considerati “di tendenza”. Insomma, sembra evidente che i media tradizionali stiano faticando ad adeguarsi a YouTube, nonostante siano presenti sulla piattaforma da diversi anni. Ma perché?

Le motivazioni che si leggono online spesso riguardano due punti specifici: il mancato adeguamento al nuovo modo di comunicare sul Web e il fatto che il pubblico di YouTube sia prevalentemente di giovane età. Per quanto riguarda quest’ultima affermazione, i dati rilevati ad aprile 2018 dall’agenzia MediaKix descrivono una realtà ben diversa: secondo l’indagine, il 95% delle persone tra i 35 e i 55 anni utilizza il servizio. Insomma, gli adulti ci sono eccome. Sfatato una volta per tutte questo mito, passiamo alla ben più complessa questione del nuovo modo di comunicare.

La direzione intrapresa dalla piattaforma di Google è chiara e ben delineata: più intrattenimento, meno informazione tradizionale, quella che si riceve, ad esempio, da un telegiornale. C’è poco da fare: il mattone centrale dell’ecosistema YouTube è il pubblico, che è oramai abituato a vedere contenuti di un certo tipo sulla piattaforma. Risulta scontato, dunque, che la piattaforma californiana assecondi quelli che, alla fine dei conti, sono i suoi “clienti”, puntando a crearsi in casa delle “star” e mantenendo gli spettatori all’interno del suo portale il più a lungo possibile. Questo sembra essere il tassello fondamentale dell’offerta contenutistica della piattaforma Google: il coinvolgimento dell’utenza.

Tenendo bene a mente che YouTube è un’azienda che deve generare profitti, è chiaro che essa debba basarsi su un modello che funziona. Ci sono voluti diversi anni per trovarlo, ma alla fine sembra che la genuinità di un singolo Content Creator funzioni eccome. L’utente conosce praticamente ogni aspetto della vita del suo beniamino, arrivando a rispecchiarsi e, alla fine, a fidarsi di quella personalità. Per questo motivo, quando uno YouTuber crea la sua community, grande o piccola che sia, il suo peso a livello comunicativo è molto alto.

È in questo contesto che si sono venute a creare funzionalità come le donazioni dai fan e il fatto che un Content Creator possa guadagnare qualcosa in più da un video che supera i 10 minuti. I benefici, infatti, sono da entrambe le parti: YouTube acquisisce sempre più utenti, che rimangono per più tempo possibile all’interno della piattaforma, e il creatore di contenuti perfeziona la sua community. Ma cosa c’entra tutto questo con le relativamente poche visualizzazioni dei canali dei media tradizionali?
Ebbene, per quanto abbiamo potuto vedere e analizzare, sembra che l’algoritmo della piattaforma Google stia spingendo molto, per i suddetti motivi, i canali gestiti da singoli, che mischiano l’intrattenimento all’informazione, facendo infotainment.

Lo dico senza remore: per creare una grande community su YouTube sembra che si debba per forza di cose realizzare contenuti di intrattenimento. Se non lo fai, la piattaforma non sembra spingere i video attraverso il suo algoritmo, mantenendo il tuo canale sempre sui soliti numeri. Un altro aspetto fondamentale è che a Google conviene di più “sponsorizzare” personaggi interni che società indipendenti esterne. Per farvi un esempio, se domani YouTube decidesse di prendere una commissione maggiore sui video, i Content Creator non potrebbero fare essenzialmente nulla. Infatti, spostare in massa i propri fan su un altro sito è una cosa assai complicata da fare e potrebbe causare non poche perdite in quanto a visualizzazioni (c’è chi ha provato a farlo verso piattaforme come Twitch o Mixer e non sempre è andata bene). Al contrario, una testata giornalistica con milioni di visite mensili potrebbe semplicemente decidere di abbandonare YouTube, senza subire una perdita eccessiva di utenti. Non sto gridando al complotto, sia chiaro: semplicemente, Google fa i suoi interessi.

Per tutti questi motivi, dunque, fare pura informazione su YouTube risulta praticamente impossibile. Attenzione, non sto dicendo che non ci si possa informare tramite la piattaforma di Google, ma è evidente che certi contenuti non vengano realizzati semplicemente perché non funzionerebbero.
Pensiamo, ad esempio, alle Breaking News. I tempi di pubblicazione di un video sono ovviamente più alti di quelli di un contenuto testuale e per questo motivo le “notizie lampo” hanno meno impatto: produzioni di questo tipo sarebbero un flop quasi assicurato.

Prendiamo inoltre in analisi una qualsiasi recensione di un prodotto tecnologico presente sulla piattaforma, facendo un breve raffronto con le loro controparti testuali. Partiamo dai fatidici 10 minuti: è chiaro che la maggior parte dei Content Creator non perderà l’opportunità di guadagnare qualcosa in più.

Ecco allora che, nei casi peggiori, una recensione dal tempo di lettura di 5 minuti si trasforma magicamente in un contenuto da più del doppio in termini di lunghezza. E in quel 50% di video cosa si aggiunge? Molto spesso, niente di necessario. In molti casi, si parla di contenuti legati all’intrattenimento e pensati per far arrivare lo spettatore alla fine del video. Senza contare il fatto che certe tipologie di contenuti, come un’analisi approfondita dei benchmark di uno smartphone, farebbero crollare istantaneamente la media del tempo di visualizzazione di un canale, che ricordiamo essere uno dei fattori più tenuti in considerazione dalla piattaforma Google.

Il risultato, come detto in precedenza, è un contenuto di infotainment, che solitamente guadagna in quanto a intrattenimento ma perde in termini di effettivo contenuto. In definitiva, non c’è nulla di male nella situazione che si sta delineando sul Web. Semplicemente, ognuno fa i propri interessi e l’offerta è sempre dettata dalla domanda. Se un contenuto esiste, è perché le persone lo vogliono. Non parlatemi però di informazione su YouTube, perché quella che si vede sulla piattaforma di Google punta più sull’aspetto che sul contenuto.

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Andrea Zanettin
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Scrivo principalmente per Everyeye Tech e Aranzulla.it. Seguo da sempre con passione tutto ciò che riguarda la tecnologia.